un racconto di E. Martelloni

Prefazione dell'autore

L’idea di scrivere un racconto su di un episodio storico e glorioso della contrada dell’Oca mi venne qualche anno fa mentre ne leggevo la storia. Mi avevano affascinato, in modo particolare, gli eventi bellici dove si era distinta. Sebbene il titolo di Nobile Contrada dell’Oca le derivi proprio dal valore ed altruismo patriottico dimostrato sul campo di battaglia, sarebbe stato impossibile per me scriverne le vicende storiche, rischiando d’essere impreciso e noioso. Di sicuro avrei lasciato addietro qualcosa d’importante che i veri storici o i lettori più attenti mi avrebbero rimproverato. Avevo in mente un racconto che lasciasse spazio alla fantasia, nel quale senza offrire troppi riferimenti storici, narrare il fascino di un tempo molto lontano. L’occasione buona era giunta osservando un evento poco descritto dalle cronache e dalla Storia: la battaglia di Montemaggio del 1145. Prendendone solo lo spunto, avevo sfruttato quel poco che ero riuscito a sapere e quel molto che non sapevo per ambientarvi la mia storia. Ho provato a costruire attorno a questa vicenda tutto quello che sentivo e immaginavo. L’immaginazione doveva essere l'unico combustibile. Un evento sconosciuto, permette d’ inventare molte cose, senza che nessuno possa fare osservazioni troppo pignole. Mi sono tuttavia accorto scrivendo, che la storia prendeva una strada improbabile, sospesa in un periodo impreciso. Federico, ad esempio, non era imperatore nel 1145, né lo era Corrado III Hohenstaufen (1093 – 1152), che aveva continuato a fregiarsi del titolo di “Re dei Romani” fino alla morte e Siena non era guelfa. La battaglia di Montemaggio non era più necessariamente quella da dove ero partito ma poteva benissimo esserne una indefinita nell’età comunale del basso Medioevo.
Il racconto che vi propongo non so giudicarlo buono o meno, nelle mie intenzioni vuole essere un omaggio per gioco e per amore alla mia prediletta contrada elettiva. Perdonate perciò la sua insipienza e la mia.

Mario Ceroli, La Battaglia (1978)

Capitolo I

<<La pioggia di Maggio…>> - pensò Alice, aveva rinfrescato l’aria e ripulito i campi di grano illuminati dal sole. Le nubi grigie, bluastre, ora lontane, arroccate l’un l’altra, sovrastavano la terra bruna e umida al giallo del frumento quasi maturo.
Molte volte lo aveva visto crescere, circondare la quercia al colmo della collina, mietere, e poi stipare nei granai della Repubblica. Distante, l’eco dei tuoni che accompagnava via il temporale, le ricordava giorni lontani come i tamburi di un esercito sfinito: era il tempo della guerra contro l’ Imperatore Federico, era l’età dei petali di rosa, del fragrante profumo che il soffio lieve dell’ amore scioglieva nelle notti delle giovani spose. Ghirlande, nei giorni di festa, cingevano sul suo carnato chiaro i capelli castani, le labbra di colore rosso acceso. Aveva occhi scuri e profondi. Alice scostò dal suo pensiero quel ricordo, così come lo sguardo dall’orizzonte. Si sentì paga, scosse un attimo il vestito sistemandone le pieghe, poi chiamò sua nipote.
<<Fiammetta! Presto, è ora di andare a messa>>. <<Nonna..!>> - cinguettò la piccola, che correndo le si gettò in grembo ad abbracciarla attorno all’ampia gonna. Dalla finestra più alta di Fontebranda, Siena splendeva nella limpida luce del giorno.
Scesero subito da basso, la chiave serrò dietro di loro la robusta porta di legno che dava su di un cortile interno dell’ edificio rispetto alla strada. Attente a non bagnarsi dallo scroscio dell’acqua dei tetti, ripararono leste in chiesa passando per l’incrociata dopo un tragitto non troppo lungo. La chiesa era buia, fredda, male illuminata dai raggi del sole che a fatica penetravano dalle monofore romaniche poste sulle pareti e sull’abside. Riuniti a piccoli gruppi sparsi qua e là, i fedeli attendevano che la messa cominciasse. Sulla sinistra alcune religiose pregavano. <<Nonna...>> - disse Fiammetta con un filo di voce, un po’ annoiata nell’attesa della funzione religiosa. << Ma… quella volta che il nonno… Mi racconti del nonno e della guerra?>> <<Zitta...>> - protestò qualcuno <<Silenzio… sta arrivando Fra Simone...>>.
Simone era un frate dalle ampie spalle, la barba brizzolata e le braccia possenti, il cuore grande e disinteressato nel fare del bene. Raramente tornava a Siena. Quelle volte, lo faceva per fare visita a sua madre e alla sorella. Officiava una messa la mattina nella chiesetta presso l’Oca, salutava i vecchi amici e i bambini per strada che lo conoscevano di fama e gli si facevano intorno festanti quando lo incontravano. Erano rimasti pochi quelli che avevano combattuto sul “ponte”, gli anni ne avevano portati via parecchi. Di quell’ episodio di guerra, quelli che ancora erano vivi ne parlavano poco volentieri apertamente. Restava qualcosa di profondo dentro di loro, da non rievocare per vanto. Più con lo sguardo vivo e fiero, che con le parole, se capitava, poi passavano ad altro.
Simone non mancava, prima di partire per il suo pellegrinaggio, di passare per l’ospedale a portare conforto e una preghiera a chi soffriva e ai moribondi. Quella mattina, per qualche ragione, la messa, che terminò con l’Amen, si prolungò più del solito; e quando Alice e Fiammetta uscirono di chiesa, della pioggia non era rimasta che qualche traccia nell’aria.
Rientrate in casa, la piccola non si era dimenticata della sua richiesta e insistette affinché la nonna le raccontasse la battaglia del “ponte” del grande zio Simone, assieme a suo nonno e al cugino Bartolo. Seduta su di un cuscino di velluto sulla panca a fianco al davanzale, Fiammetta aspettava il racconto della nonna con trepidazione, agitando i piedini su e giù, silenziosa, con lo sguardo esplicito puntato su di lei. Alice non si fece attendere molto, prese in mano il ricamo, si aggiustò a sedere e con la medesima sicurezza ed agilità con la quale lavorava e cominciò a raccontare.

Capitolo II

In città non si parlava d’altro che dell’imminente guerra contro Re Federico. Nelle taverne, nelle bettole, come nei palazzi dei signori, nelle piazze, nei mercati, nelle case. Barbarossa era sceso in Italia forte di un poderoso esercito deciso a ristabilire il suo prestigio. I Comuni del nord e dell’Italia centrale lo preoccupavano. Cominciavano ad avere autonomia dal Sacro Romano Impero come dei veri Stati indipendenti. La nostra potenza era manifesta, per i floridi traffici, i prestiti dei banchieri, ricchi, influenti negli affari come nella politica. L’industrioso popolo di Siena, le sue arti e corporazioni, gli uomini più facoltosi ed il popolo minuto, tutti, pii e devoti, avevano dinanzi a Dio, a sua maggior gloria, benignamente grati al Cristo nostro Signore e alla Vergine, innalzato magnifiche cattedrali, palazzi, e commissionato a grandi artisti, preziose opere ed affreschi che celebravano, come ancor oggi, la grandezza di Siena. Oltre alla devozione, chiunque poteva vedere nella cinta di mura, più ampia ed inespugnabile, la nostra forza. Altrettanto, valeva per molte città a noi amiche, o avverse per interessi e politica, le quali desideravano maggiore libertà dall’imperatore. Ora, al tempo dei fiori d’ulivo, quando questi si apprestano all’allegamento, questo accadde. Come molte altre volte, Simone si trovava alla taverna della Rosa. Era sostegno della famiglia ma quello che diceva, quando faceva baldoria, non era vero la metà. Tutti sapevano che quando cominciava a bere, uscivano dalla sua bocca parole a sproposito. Tra gli amici, ebbro e di buon umore, arringò i suoi “Ascolta bene Taddeo amico mio, non sopporto tutta questa enfasi e agitazione per la guerra…Gli venga un tiro secco chi la cerca!” “ Giusto!…” risposero e risero tutti .“ Io voglio il dado, il vino buono e all’occorrenza …sai…Vecchio mio! “ ammiccò Simone.” Sì. Taddeo… In questo loco nulla m’importa: onore…e coraggio...l’avrò, ma domani. Quando sono qui, io mi sbraco e di rapinar mio padre m’ingegno, spilorcio com’è! Per venire, finché sono pago. Qui io mi conforto, mio buon amico…Ancora un lancio…” “ Più prudenza Simone… se ci sono gli uomini del…” interruppe suo fratello Luca.”. Appunto…se! Ma qui non ce ne sono. Al bargello sono tutti impegnati a fare altro e qui delatori non ne vedo: sono tutti amici!... Ecco il mio lancio” Qualcuno dall’altra parte della taverna urlò “Di nuovo Poeta!... dacci qualche strofa allegra, tieni su il nostro morale fino a domattina, fai qualcosa per Dio! Agli uomini piace sentire i tuoi sonetti sui balordi, gli storpi e i bordelli. Scaldaci con il buon umore e la risata grassa, che il vino farà la sua parte nelle nostre pance. Ci siamo rifugiati in questa taverna, perché fuori è un tempo da lupi, mai visto di questi giorni in questo periodo dell’anno.” “Sarà un presagio questo temporale...” Disse l’ostessa, mentre rassettava un tavolo per un nuovo cliente appena arrivato e umido fino alle ossa. Luca fece una smorfia. In silenzio sorrise, gingillandosi con le briciole di pane. “ Pare” – soggiunse - “che la tempesta scombini e strapazzi con birba violenta e inaudita tutte le cose che incontra come se protestasse per qualcosa, chissà poi con quali pretese.” La taverna era in quel momento viva, piena di gente. Tutti commentavano gli eventi e le ultime di quei giorni. Simone, Taddeo e Luca passarono quella notte assieme, l’ultima prima di partire l’indomani con l’esercito per la guerra. Con loro c’era anche Bartolo, cugino di Simone e Luca e del gruppetto era il più piccolo. Dalla sua giovane barba non dimostrava più di sedici anni. In famiglia lo amavano, era un bel ragazzo, sereno d’animo, con una rara virtù: sapeva per simpatia conquistare chiunque avesse a fare con lui. Non faceva pesar nulla, generoso e pieno di coraggio - dote questa ultima comune a tutti quelli che combattevano e combattono sotto la nostra insegna. Un’Oca bianca in campo verde, l’Oca del Campidoglio che chiama alle armi! Per Bartolo, quella era la prima o la seconda volta che andava con i cugini alla taverna dove gli uomini facevano sovente tardi la sera. La poca luce schiariva dalla penombra le facce e i corpi degli ospiti seduti ai tavoli della “Rosa”. Il fuoco delle torce oscillava nell’ampia stanza di ristoro, rendendo grottesche le espressioni dei volti anche ad un osservatore poco attento. Le gote, le pieghe della fronte increspate ed unte di questi sbruffoni, tentavano di tenere in un angolo dei loro cuori il pensiero del prossimo scontro col nemico. Era tardi e di molto, quella notte. L’oste e la moglie, padroni della bettola, ben attenti a che tutto non oltrepassasse di troppo il limite della legge, con un occhio alle loro borse e uno a quelle degli altri, si erano decisi a chiudere.”Ora via buona gente, baldoria fatela a casa vostra, se ve la fanno fare.” Scandì con chiara quanto decisa voce il padrone, cominciando a serrare gli usci e gli scuretti.” Fori... ho detto….ite, Messer Simone, portate il vostro didietro e quelle dei vostri compari lontano di qui. E’ molto tardi ed io non voglio multe, anche se stanotte dubito che qualcuno possa farne” Era così buio che nessuno dei quattro, uscendo, capì nulla di dove stavano andando a parare i loro piedi. Nella piazzetta si separarono i modo un po’ confuso e comico. Simone accompagnò Bartolo, Taddeo passò non si sa dove per rientrare a casa e poco prima che facesse giorno girava ancora per la città.

Ritratto di donna - E.Martelloni

Luca…Beh, Luca cercò di entrare in casa “ Questa è l’ora di rientrare, falso tradito!” Gli urlai secco sull’uscio. “heee!” fece sobbalzando spaventato” “Sono stato tra amici…Amore, ti tradii forse?” “Luca, non mi far venir meno…” Gridai arrabbiata “Fallai..? Puzzo di vino?” Mi rispose con quella faccia da ceffoni “Vuoi che muoia amor…” “magari!” “ed io morrò!”. Di cosa potevo rimproverarlo ancora…. “Vieni qua sciabordito che terrò te con tutti i tuoi guai.”. Di quel che rimase della notte, bastò al tempo per spazzar via le stelle, come alle mani le briciole dal tavolo. Trascorse un’ora, per me come un secolo, gioia e consolazione della mia vita non che il suo frutto.

Capitolo III

Alle Fonti, prima di arrivare nella piazza d’arme dove i preparativi della compagnia militare erano in pieno svolgimento quella mattina, il Bargello attese Simone, che a grandi passi assieme agli altri tre suoi compari, scendeva dai Tintori.
“Buongiorno, Simone vedo che vai di fretta ma devo farti alcune domande”
“Sicuro Bargello, sono qui, parla.”.
“Loro possono proseguire se vogliono…” aggiunse il birro “a dopo ragazzi, ci vediamo ai macelli ad aiutare Lapo per caricare le vettovaglie!”.
Scostandosi dal muro, il Bargello proseguì a parlare. “La padrona della Taverna dove eri ieri sera con i tuoi amici ci ha chiamato questa mattina. Si è lamentata di aver ricevuto in pagamento monete false. Io so che te e gli altri siete di specchiata onestà e non dubito di voi, ma sai quello che succede ai bricconi che fanno circolare moneta falsa. La donna era un po’ confusa e spaventata, non ha idea di chi glieli ha rifilato quei denari. Questa domanda non l’ho fatta soltanto a te, ma a tutti quelli che ieri sera sono passati per la taverna e di cui la brava donna ricordava il nome.”. “Finora hai scoperto qualcosa?” “Uhm… poco o nulla. Credevo, Simone, che te più di altri potessi aiutarmi. Questa guerra frena le mie ricerche, anch’io sarò della partita da domani.”. “ Non ho badato molto, ma mi parevano i soliti frequentatori, forse qualche nuovo avventore era in disparte e non ho fatto caso.”. “Bene, se sai qualcosa, vieni a trovarmi, a presto Simone.”. “ Se saprò ti cercherò.”.
La piazza d’arme era piena di voci dei soldati impegnati nei preparativi. I maniscalchi erano alle prese con le armi. Cavalli, ronzini, bovi pazientemente si facevano governare e strigliare. Chi correva da una parte, chi controllava certe cose dall’altra, chi preparava i carri. Simone si era ritrovato con Luca, brillante ed esperto nella fionda e nella spada, per sistemare assieme le loro armi e i palvesi.
Bartolo e Taddeo erano con Lapo a preparare le insegne militari della compagnia. Tutto il giorno era passato a quel modo. La sera il pasto era stato consumato su tavolacci occasionali assieme a tutti gli uomini della compagnia, dai maggiorenti ai ragazzi di servizio. Ormai erano pronti per partire la mattina dopo. Nessuno rientrò a casa. Dormirono presso le bestie, chi tra il fieno, chi nelle tende da campagna. L’alba era vicina e il silenzio della notte rotto dal gorgoglio delle acque di Fontebranda. Al mattino, la grande messa officiata fuori le mura di Siena dal vescovo benedicente a tutte le truppe dell’esercito senese, seguì la parata tra la folla festante. Si poteva immaginare come, chi restava in città, volesse salutare i suoi cari. Le donne gettavano fiori e petali accompagnandoli a gridi e gesti benauguranti, a canti e a lacrime commosse. Le compagnie sfilavano fitte sotto i tetti dei rioni con tutti i loro vessilli ed armature. Luca, Taddeo, Simone e Bartolo passarono davanti a tutti noi che li aspettavamo alle finestre o ai piedi dell’uscio di casa. Erano lucidi e belli nelle loro armature. Simone, con quella barba arruffata, parava tutti gli altri, grande come un orso fiero come gli ocaioli sanno essere. Luca spiccava tra i militari della compagnia di San Pellegrino per la sua altezza e un po’ per il suo modo sbruffone di affrontare le cose serie; ma era bello. Taddeo portava anche l’elmo, era forte e astuto nel creare trabocchetti ai nemici. Aveva già combattuto altre volte e le ferite riportate in battaglia non gli avevano fatto passare la voglia di lottare. Il più tenero pareva Bartolo, al suo primo incontro con la guerra. Da non molto tempo s’era fatto uomo, ormai adatto per combattere. Smaniava per questa prova della vita. Pareva un po’ buffo con quel passo da soldato. Uscirono dalla cinta con un gran fracasso di rulli di tamburi. Tutte le compagnie militari di Siena si riunirono assieme e forti partirono, finché tutto si fece muto attorno a noi.

La Battaglia

Notte. Non una come le altre. L’ultima prima della battaglia. Taddeo era sveglio e colto dai pensieri.
“Non ho più sonno da un pezzo… vedo solo la nebbia che tutto avvolge come se fosse la tenda di un proscenio dietro al quale lo spettatore non sa quale spettacolo lo attende. Io posso prevedere il genere…nulla più. E’ probabile che un piattola camminando in mezzo a cento uomini non venga schiacciata. Poi sulla sua groppa di questa immonda bestia, quando con fatica porta il suo corpo alla salvezza…Tac! Qualcuno senza accorgersene la schiaccia. Fine. Quale differenza c’è tra morire ignorati da tutto, senza gloria e cadere in battaglia? La morte ha un maggior significato? Oh Si muore e basta?...Comunque, insetto ed io, schiacciati. Tutto mi appare incerto e indefinito. Sono disorientato, non appena provo a pensare… un brivido e cedo….Il mio tempo è sospeso all’attimo d’ogni mio respiro. Vorrei morire non per un caso qualsiasi, per una banalità. La spada che mi colpirà darà un valore alla mia dipartita, se ciò avverrà.…Mi ascolti….Simone, Mone…mi ascolti. Dormi ancora, rozzo caprone! “
“Falla finita di brontolare Taddeo. Dormi prima che il gallo canti c’è ancora tempo. Riposa figliolo, domani avrai bisogno di tutte le tue forze.”.
“Come faccio a dormire, vorrei essere già in battaglia, anche se ora ho paura. Non mancherà il mio coraggio che al momento opportuno mi sosterrà nello scontro.” “Dormi e basta il resto serbalo a domani.”

disegno di E. MartelloniEcco che il cielo rischiarò sopra le nuvole a levante, e dissolse le stelle. L’aria era fresca e molto umida. Non erano differenti le voci dei soldati da quelle degli uomini operosi, che risvegliano la città.
Siena era lontana.
“Serrate le fila! Serrate le fila! svelti!” Gridò il capitano. “Preparate le balestre e i dardi. Tenete a riparo la cavalleria scelta. Lo scontro sarà frontale e voglio che dopo un gruppo d’uomini si attesti sul ponte. Da lì nessuno dei nemici dovrà passare!”
Il silenzio presentò il suo volto più inquietante. Dopo un’ora e più di preparativi, quando i due eserciti si posero di fronte, i fenditori erano nell’attesa di aprirsi una breccia tra le linee nemiche. Il bosco bruno ed alto come una cattedrale gotica, incorniciava il campo di battaglia immerso nella rada nebbia. A sinistra delle truppe mercenarie dell’Imperatore si estendeva una zona paludosa, ma il terreno scelto per la battaglia era in tempra e pareva non creare particolari problemi alla cavalleria. Ancora silenzio. Luca e gli altri cercarono il nemico ancora invisibile per il buio. La luce brillò ad un tratto accecante, riflessa dalle armature della cavalleria nemica e su gli elmi dei fanti dinanzi a loro. Poi tutto assieme, perfino gli occhi e i denti del nemico si trovarono addosso. La terra cominciò a tremare da non stare quasi più in piedi ed un tremendo cozzo dei due eserciti si perpetuò lungo tutta la linea. I Balestrieri avevano riempito il cielo di Quarelle, le quali ricaddero sugli uomini trafiggendoli a più riprese.
Simone e i suoi si gettarono nello scontro “ Per Siena e l’Oca!..” D’impeto infilò subito un tedesco. Urla si alzarono in cielo. Ad un tratto un fianco cedette e i tedeschi ripiegarono ma solo per far entrare la cavalleria pesante che a rullar di mazza squassò le teste dei fanti. Bartolo e Luca attesero l’attimo giusto e s’infilarono sotto le pance dei cavalli fermati dai corpi dei caduti, con coltelli ben affilati usati per le conce. Uno di quei cavalli da guerra, nitrì oltremodo forte, abbassò la testa nel tentativo di ripararsi la pancia, poi cadde sulle sue viscere fracassando il cavaliere cui non gli venne fatta sorte migliore. Dalle giunture delle armature dei guerrieri, i coltelli degli assalitori tagliarono i tendini per poi immobilizzati, finirli alla gola. Un turbinio di sassi lanciati dalle fionde risposero alla strage che i cavalieri fecero dei soldati a piedi, facili bersagli, terrorizzati dalle ripetute cariche. Il caos pareva vincere sulle posizioni strategiche dei due eserciti. Con i vessilli spiegati di Sant’Antonio e San Pellegrino, Simone Taddeo Luca e Bartolo corsero a difendere il ponte buttando giù diversi nemici, sostenuti da tutti i soldati di quella compagnia che poterono disimpegnarsi dallo scontro principale, perché com’era stato previsto, gli imperiali avevano sfondato per costa. Un’elsa trafisse un polmone di uno dei nostri, e il sangue lo soffocò un momento dopo uscendo a fiotti dalla bocca spalancata. Il colpo seguente arrivò ad uno zigomo come se i denti di un cane rabbioso, avessero raggiunto la preda, finché poi il corpo non cadde dal parapetto nell’acqua gelida. Ancora un assalto: respinto. Uno di nuovo. Il terzo ancora più veemente, ma Simone si oppose quasi da solo a colpi di mazza ferrata e spada. Tutto il combattimento si svolse su di un’ampia valle, mentre dai poggi le bandiere passarono segnali da un capo all’altro della battaglia. Le urla dei feriti squarciarono l’aria o cessarono per l’imminente fine. Alcuni cavalieri impauriti furono vili, scapparono per la campagna e si dettero alla macchia. Altri, giovani furono ben stimati. Poi dopo ore di combattimento, gli attacchi e i contro attacchi finirono. I nemici di Siena, rotti. Senza avere, però, le forze per inseguirli. A sera la battaglia era terminata.

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